Liberamente tratto da "I sette contro Tebe" di Eschilo
Note di regia
I Sette contro Tebe è una tragedia di Eschilo, rappresentata per la prima volta ad Atene nel 476 a C. , quasi 2500 anni fa. Racconta l’assedio della città di Tebe, governata da Eteocle, figlio di Edipo, da parte dell’esercito degli Argivi, capitanato da Polinice, che di Eteocle è fratello. Una città assediata, una guerra tra fratelli. La tragedia si apre con il richiamo alle armi dei cittadini di Tebe da parte del loro re, al quale risponde il coro delle donne che della guerra sanno l’orrore e lo descrivono, invocando la protezione degli dei. Una città assediata, una guerra tra fratelli, le immagini orrende evocate nelle parole di chi le conosce. Come le conoscono i cittadini di Sarajevo, di Aleppo, di Mosul, di Raqqa, di Mogadiscio, di Groznyj, di Sana’a, di Vukovar, di Pristina, di Falluja, di Afrin, di Duma.
Sono i nomi di alcune delle innumerevoli città che in questi anni hanno vissuto e vivono la brutale realtà dell’assedio. I nomi più noti, perché di tante, tantissime altre nessuno ha mai nemmeno fatto il nome. Ci siamo messi a cercare: nomi, immagini, testimonianze. Ci siamo immersi in uno sconfinato viaggio, raccogliendo fotografie, racconti, lettere. Un universo di dolore, sangue, lacrime, violenza, morte. Come raccontarlo? Come restituire voce alle centinaia di migliaia di storie di uomini, donne e bambini che lo hanno attraversato? Con la consapevolezza che è un’impresa impossibile, ma necessaria. Quella consapevolezza che ci ha liberato dalla preoccupazione di ricostruire con rigore, di fare ordine, di mettere insieme i pezzi. Quella consapevolezza che ci ha autorizzati a mescolare le parole di una donna bosniaca all’ immagine di un bambino siriano, la voce di un giovane iracheno agli occhi di una vecchia ucraina. Non per sollevare dalle loro responsabilità coloro che questo orrore hanno progettato, né coloro che lo hanno eseguito, né tanto meno coloro che, per convenienza, lo hanno ignorato e lo ignorano, nascondendo l’ipocrisia dietro una pretesa impotenza.
Natalia Lepori